Alla fine del XIX secolo finalmente iniziò l’unificazione dell’idraulica sperimentale e dell’idrodinamica teorica. William Froude (1810–1879) e suo figlio Robert (1846–1924) svilupparono le leggi per le prove sui modelli, Lord Rayleigh (1842–1919) introdusse la tecnica dell’analisi dimensionale e Osborne Reynolds (1842–1912) pubblicò nel 1883 la classica esperienza col condotto, con la quale dimostrò l’importanza del numero indice adimensionale che preso il nome proprio da lui. Nel frattempo si sviluppò la teoria dei flussi viscosi che tuttavia mancava di conferme sperimentali. Infatti sia Navier (1785–1836) che Stokes (1819–1903) aggiunsero con successo i termini viscosi newtoniani alle equazioni del moto. Le equazioni di Navier-Stokes che ne risultarono erano troppo complesse per essere applicate ad ogni flusso. Successivamente, nel 1904, un ingegnere tedesco, Ludwig Prandtl (1875–1953), pubblicò quello che forse deve essere considerato il più importante lavoro mai scritto nel campo della meccanica dei fluidi. Prandtl osservò che i campi di moto dei fluidi a bassa viscosità, come per esempio i flussi di acqua o di aria, possono essere suddivisi in due regioni, ossia un sottile strato viscoso, o strato limite, posizionato vicino alle superfici solide e alle interfacce, ed uno strato esterno, con comportamento pressoché non viscoso, per il quale è possibile applicare le equazioni di Eulero e Bernoulli. La teoria dello strato limite si è rivelata lo strumento più importante nella moderna analisi dei campi di moto. Allo stato attuale, le fondamenta della meccanica dei fluidi del XX secolo si basano su una serie generalizzata di sperimentazioni e teorie dovute a Prandtl e ai suoi due principali amichevoli antagonisti, ossia Theodore von Kármán (1881–1963) e Sir Geoffrey I. Taylor (1886–1975).